Palazzo Grassi

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castello di Gesualdo

Il castello di Gesualdo domina dall’alto di una collina la valle.  Non vi è unanimità sulla data di costruzione, tra il 650, come presidio longobardo, e  l’849, quando la “divisio ducatus” tra Adelchi e Siconolfo, richiese una migliore  difesa dei territori annessi al principato di Benevento. In effetti, data la sua posizione strategica, era certamente uno dei cardini difensivi della zona, insieme ad altri castelli disposti a Torella dei Lombardi, S. Angelo dei Lombardi, Bisaccia, Guardia dei Lombardi e. Rocca San Felice. Il complesso presenta quattro torrioni circolari con cortine cinte da rivellini e con corte centrale. Sotto il cornicione , a lettere cubitali si legge: "Carlo Gesualdo, discendente dal nobilissimo Ruggero il Normanno, Duca di Puglia e Calabria, Conte di Conza, Principe di Venosa, etc. eresse”. Sulla parete di fronte all'ingresso una testa di leone con la bocca spalancata ospita, ben celato, un cannoncino, a difesa di qualche sprovveduto assalitore. Il castello è stato più volte saccheggiato e danneggiato: da Ferrante I d'Aragona nel 1460, dalle truppe francesi nel 1799 e dai ripetuti sismi, l’ultimo dei quali nel 1980. Ancora oggi necessita di onerosi recuperi. Comunque sia, nulla resta dell’originaria costruzione longobarda mentre spiccano invece, ora, caratteristiche decisamente normanne. I castelli longobardi erano caratterizzati da ampi terrazzamenti aperti mentre quelli normanni presentavano ampi cortili interni sui quali si aprivano scuderie, cantine, granai, locali destinati alla manutenzione di carrozze ed alle abitazioni della servitù, su cui poggiavano i piani nobili destinati a residenza. Anche il castello di Gesualdo non si sottrae a queste caratteristiche di massima e si presenta di forma piuttosto regolare, a pianta rettangolare, con un cortile interno ed un pozzo al centro; torri cilindriche scarpate agli angoli, collegate tra loro da cortine murarie anch’esse scarpate; all’esterno, il fossato ed il ponte levatoio. Il castello è legato soprattutto alle vicende della famiglia Gesualdo, il cui dominio fu piuttosto duraturo e proseguì nei secoli successivi, tranne un breve periodo. Infatti, in seguito alla partecipazione di alcuni membri della famiglia alla congiura dei Baroni, il paese fu assediato dalle truppe di Ferrante I d’Aragona nel 1460, ed il castello, espugnato, saccheggiato ed in parte distrutto. Dopo pochi anni i Gesualdo ripresero il possesso del loro feudo e del castello, che fu ricostruito, e che circa un secolo dopo, ad opera di Carlo principe di Venosa, subì ancora importanti modifiche. Il principe sposò nel 1586 la cugina Maria d’Avalos, appartenente ad una delle più nobili e potenti famiglie del Regno. Costei, però, donna bellissima e molto corteggiata, divenne amante del duca d’Andria Fabrizio Carafa. Il principe, venuto a conoscenza dell’affronto, decise di farli uccidere. Una sera dell’ottobre 1590 fece irruzione nella camera da letto della sua residenza napoletana, oggi più nota come palazzo Sanseverino, e con alcuni servi fece uccidere moglie ed amante. Il processo a suo carico fu archiviato per ordine del Vicerè, ma Carlo, che tra l’altro era nipote di San Carlo Borromeo, per evitare la vendetta delle famiglie Carafa e d’Avalos, si trasferì a Venosa e poi nel suo inaccessibile maniero di Gesualdo, roso dai sensi di colpa. Nel 1594 si recò a Ferrara dove conobbe e sposò Eleonora d’Este e, dopo Venezia, Padova e Firenze, nel 1595 fece ritorno in Irpinia e sentì il bisogno di rendere più confortevole il suo castello. Furono così  eliminati il ponte levatoio, i sotterranei ed i trabocchetti e furono modificati gli ambienti residenziali. Furono creati ampi e luminosi saloni per concerti e rappresentazioni teatrali, sale adibite a studio del principe con grandi vetrate che davano sul cortile interno. Al piano superiore fu costruita una cappella di cui rimane la lunetta dov’è dipinta una Madonna col Bambino; un balcone panoramico nella torre del suo appartamento ed  teatro, poiché il principe fu famoso madrigalista, tanto che il teatro di Avellino oggi reca il suo nome.